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La rosa e i tre chiodi

Come avevo detto, dato l’esame di piano etc etc, bla, bla.
Prima una richiesta: GL, puoi mettere anche la trascrizione fonetica, nel glossario (ma serve proprio il glossario? Oh, beh, se mi infastidisce non lo leggo, giusto?)?
Allora, non mi sono fatta note (perché, insomma, colle Ff funziona, ma con un libro è esagerato), quindi vado un po’ a ricordi (stavo per dire “a naso”, ma di recente ho scoperto che è storto, quindi non va bene).
Mi è piaciuto più del primo. Mmmh… questione di atmosfera? Non so. Sarà la copertina così carina? Non so.
Però Caius ha tirato fuori un po’ di palle, e questo è OK (so fare OK anche con i piedi, quindi sono quattro OK).
Vai ragazzo! Mi piacciono gli uomini di polso! (Però è uno sfigato assurdo… assurdo.)
Ah, il mio personaggio preferito è Bellis.
Però c’è ancora questa cosa del non dir niente agli altri che mi rende antipatici gli adulti. GRR, caverei i denti a tutti!
E poi. Ma come mi finisci! Ma quanti ne hai ammazzati in questo libro? Ma insomma.
(Ti ripeterò fino alla morte che è un libro da maschi. Tutti Quegli Insetti)
Ah, e c’è ancora La storia infinita! (Sì sono fissata!) Capitolo… capitolo… AAAAAAAAAh, un altri libro senza indice! Riesco a dirlo senza fare spoiler? No.
Ed ecco il mare! Aspettavamo il mare (il “noi” siamo io, il criceto e l’omino nel mio cervello) da… la scorsa estate? Boh, quand’è che ne hai parlato?
Mi son persa come dal mare sei arrivato a Parigi o non l’hai detto?
Comunque, come sei arrivato dal mare a Parigi?
E’ un po’ tipo… Il Tempio delle mille porte, giusto? (Sì, se sai che sono fissata, fai lo sforzo di abbassarti al mio livello per capire quel che dico, per favore).
Il cattivo mi piace sempre di più.
E basta. Prometto che se lo rileggo scrivo qualcosa di più concreto.

Eh, ma che palle!

Allora.
Avevo detto a GL che non sarei andata a cercare il suo libro, perché credo nella serendipità, come era successo col suo primo. Ma non è che se non vado a cercare un libro significa che non vado in libreria.
Per esempio, a Orio (librerie minuscole, neh!) ho scoperto che è finalmente uscito il quarto Artemis Fowl, e trovato e comprato finalmente Profumo (!!), poi, sono andata (ma per puro sfizio) alla 51esima fiera dei librai (che l’anno scorso era la 50esima fiera deL librO, ma boh), dove ho trovato l’opera completa di De Sade, ma non ho preso perché avevo “solo” 50 euro e con quella avrei comprato due libri invece di quattro (prima volta che non approfitto… inoltre la copertina era ROSA, cioè, vi rendete conto? E’ il mio libro.).
Beh, andavo sul suo blog per dirgli che, cavolo, vabbeh la serendipità, ma sembra quasi un boicottaggio!, ma guarda te, dice che stop, chiuso, finita qui.
Ma daiii.
Che poi oggi sono inversa che ho il ciclo… sgrunt.

Mio stizzoso!

GL mi fa stizzire come pochi. E sì, ora sono abbastanza stizzita.
Ma cosa dico a uno che mi risponde così?
Come dire, o li odi o li ami, neh!

Leggere W. 2.

Capita che io stia leggendo Un giorno, cose terribili (L. Botti). E che mi metta a pensare: “Toh, sacrifici di bambini, un ragazzino ‘magico’ per protagonista… Umh. Ah, ecco! Wunderkind!”
E capita che io mi ricordi che stavo scrivendo qualcosa. Che non ho più postato. Che è qui sul mio desktop dal… 19 settembre.
Cioè, non so se vi rendete conto.
Archiviamo quello che ho scritto a settembre, vi va?

Comunque, a parte i sacrifici e i ragazzini superdotati, una cosa che li accomuna (i libri, non i superdotati) secondo me, è la critica.
Penso fosse Larù (che sarebbe Lara Manni, per la cronaca), a scrivere, qualche decennio fa del grande scarto tra la psicologia del personaggio e come lui scrive su msn. Lei ed altri, certo.
Somma Maestà (il gatto), Larù del mio core. Permettetemi di dissentire.
Premetto che quella traduzione è anche solo per lo sforzo un gioiello. Passare da un linguaggio non convenzionale a un altro linguaggio non convenzionale.
Premetto che un ragazzo non è un geniaccio solo perché legge Tolkien.
Premetto che a dodici anni (o all’età che ha, insomma), uniformarsi agli altri non è una questione di stile o di branco, ma significa solo “avere dodici anni”.
Premetto che le nuove generazioni di francesi parlano in un modo che noi dobbiamo ringraziare da noi stia scomparendo solo il congiuntivo, e premetto che quando scrivono messaggi, chat o robe del genere, il loro linguaggio diventa un codice inaccessibile.
Ecco, ho premesso tutto e non ho più niente da dire.
Anche a me da fastidio tutto quel “kappeggiare”, tagliuzzare, punteggiare e interpretare. È che io non conosco quel particolare gioco linguistico. Colpa mia che son vecchia, che non ho letto il libro in originale, che non sono una giovane francese (senza offesa, ma grazie al cielo!).

In W. Caius. Questo è stato scritto da Gamberetta, anche qui, mesi e mesi e mesi e mesi fa. “Questo” è che non va bene quando all’inizio GL dice che siccome il poverello era la versione tisica di Klara (quella di Heidi), e quei bastardi dei suoi genitori non gli avevano mai comprato il nintendo, allora era più intelligente degli altri.
Allora, io non mi pronuncio sul piano tecnico, perché lì sono una mezza sega e punto. Però a me non ha dato ne fastidio ne ha fatto tristezza (umh. “fare tristezza” esiste?).
Perché: 1. Io leggo il libro come se GL mi stesse raccontando una storia. 2. So che quella è un’opinione sua personale, e non capisco perché non dovrebbe esserci. 3. Mi ha dato il pretesto, all’epoca (la scorsa estate) di esclamare vittoriosa: “Ah! ’79!”, ricordando che giochini penosi c’erano negli anni ottanta, tipo quello in cui dovevi spostare l’omino per fargli prendere i pesci che saltavano fuori dall’acquario (gioco a cui ho giocato anch’io – finché mia sorella non se l’è ripreso- visto che i miei genitori non mi avrebbero preso un videogioco neanche a pagarli oro, neanche a riordinare camera mia, siccome erano convinti –ora, visto i risultati, si sono ricreduti- che mi avrebbe spappolato il cervello). Sì, ok, non c’erano solo i giochini penosi, ma sono stata segnata anch’io dall’assenza dei videogiochi durante la mia infanzia. Posso esternare liberamente la mia invidia sul mio blog? 4. Non sono d’accordo, e allora? Come direbbe GL, non sono abbastanza grande/intelligente per capire queste cose. Allora gli risponderei: “gnè gnè”, allora lui direbbe: “sei proprio leghista”. Ma la cosa mi attizza, non m’intristisce proprio.
Comunque. Il punto fondamentale è che mi piace sentire la voce dell’autore.
Perché il lettore dovrebbe vedere la storia stessa e non l’autore? L’autore esiste. La storia no (sì, esiste come storia, ma non sofistichiamo!). E per fortuna.
Già ho i mostri sotto il letto, ci mancano solo gli squilibrati gonfiati e plasticosi che si fanno scoppiare in centro città. (Intanto abbiamo i terroristi. Non so cosa sia meglio)

Proseguiamo colle prodezze critiche di Gamberetta. Insomma, non così a caso. Avevo detto (a GL?) che non ero propriamente d’accordo con la sua recensione, a cui ero arrivata in un modo arzigogolatissimo (del tipo: blog di GL – blog di Fabrizio – recensione di Gamberetta). Non voglio sollevare questioni, partiti, cazzate varie su questo e su quello che dirò, ok?
Però, permettetemi una specificazione.
GL? Sì, lo so che sei qui, trasparente come un fantasma (brutto comunista, non è che mi lasci un saluto, neh? Bastardo… che la lega colpisca te e i tuoi figli fino alla settima generazione!). Sono una tua *fan*? Se sono una leccaculo non lo sai, visto che di persona non ci conosciamo (per tua fortuna).
Ok, mi devo confessare: il rimming mi piace da bestia.

“Paulus si mosse a disagio, osservando un affresco il cui soggetto non era solo volgare, ma addirittura sinistro. La vernice con cui era stato disegnato, di un appariscente rosso scarlatto, doveva essere stata di qualità scadente, perché una miriade di gocce e sbavature si dipanavano dalla figura centrale dando allo spettatore un’idea di malsano sadismo.” Etc etc.
Dice che non è una descrizione, perché non ha oggetto.
Io mi ero chiesta, leggendo il libro, che descrivesse.
Descrive la vernice rossa e la sensazione.
Allora: abbiamo un posto oscuro che puzza di “magia nera” (ehm. Permuta liberale?) da far invidia ad un pesce morto da una settimana. Paulus sta seguendo il fratello che è fuori come una corona di Natale. Quello che vedo io è luce rossa e ombre senza contorni.
C’è qualcosa da descrivere? O è tutta una fantasia di Paulus? GL doveva dirci: c’è il cartellone della pubblicità della crema solare, quella del cagnolino che smutanda la bimba?
Che tra l’altro, se non ho letto male, sti due stanno girando in un posto illusorio.
Che deve descrivere? Le sensazioni. E lo fa.
Ciao.
(Ah. E se davvero quelli della Mondadori erano convinti che W fosse un libro per ragazzi… ditemi, come avrebbe potuto GL scrivere qualcosa di veramente scabroso senza subire l’attacco del Moige?)

Riguardo all’appunto (chiamiamolo così) che fa sulla scena in cui Caius è mezzo svenuto sulla spalla di Gus…. Sinceramente non ho capito quale fosse il problema.
Che avrebbe dovuto far vedere, nel momento in cui usa gli occhi, le orecchie, l’intestino di Caius, che guarda caso in quel momento è peggio che fumato? Anzi, secondo me il risultato finale è addirittura realistico.
E poi, scusate: chi obbliga a descrivere tutto col lanternino? Mica è un film di Tarantino. Mica è un manuale di chirurgia. Secondo i miei standard c’è addirittura troppo sangue, ringrazio il cielo che mi abbia risparmiato alcune cose. Che abbia alleggerito il carico.
Altrimenti lo piantavo lì (il libro, non GL), vaffanculo e tanti saluti.
Cos’è, la fiera del sadico? La masturbazione del carnefice? Ci vuole anche un po’ di pudore, certe volte.

La falsità.
1.“Aveva paura. Quella nuova, terribile sensazione aveva piantato gli uncini nella sua carne per la prima volta soltanto quattro giorni prima, e ora sembrava essere diventata la sua fedele compagna.”
2.“Il sangue sgorgava e spruzzava, mentre il Chanyde non si ribellava al suo assalto, inerte. Buliwyf poteva avvertire l’afrore del sangue nelle narici, poteva gustarne il sapore (dolce, oh, quanto dolce!) nella bocca e persino vedere giochi d’ombra tra i fumi di vapore che salivano dalle ferite aperte.”
1. Che c’è di male in “fedele compagna”? Sì, magari uno di quattordici anni penserebbe “quella troia mi sta attaccata al culo”, ma uno di trenta, almeno quando scrive, è più fine. Non mi sembra una cosa scontata. Mi sembra ironicamente malinconica. Da “adultino”, sì: ma cosa impedisce che Caius lo sia? Prima cosa. Seconda cosa: cosa impedisce all’autore di prendere il pensiero della sua creatura e dargli una forma più bella?
2. Che c’è di male in “dolce, oh, quanto dolce!”? Trattandosi di un licantropo, sarebbe stato meglio “dolce, Uh, quanto dolce!”. Lei non dice/pensa “Oh”, e altri amorosi sospiri. E non pensa che possa dirli/pensarli un tipo come Buliwyf, che tanto per rimanere nel suo ruolo di brutto e cattivo, sta insieme ad una “donna” che nemmeno più toccare. Certo, Buliwyf è lo stereotipo del lupo mannaro, neh? È quello che non sospirerebbe mai (alt! Perché “Oh” in genere indica una cosa del genere. Un fiato, un sospiro, un’esternazione vocale di estasi. Se la scambiate per “O” vocativo o qualcos’altro… beh, non so che dirvi) di piacere mentre sente il sapore del sangue. NEH?

Lo spostamento del punto di vista.
Quando la professoressa nota (Così!! Per caso!! Ma ci rendiamo conto!!) che il nome di Caius scompare dal registro.
Fa niente se intanto Caius sta sparendo dalla realtà.
Fa niente se la scuola stessa sta diventando un’entità fantasma.
FA NIENTE! Capito?!

Il figo tatuato.
Che sarebbe Gus, giusto?
Ecco, de gustibus etc etc.
Però, dai. Un pelatone pompato tipo metallaro con giubbotto di serie. Un… un… (Spoiler) insetto.
Bleah!
Che gusti, signorina.
Ma non è molto più figo Buliwyf?

Lawful good contro chaotic evil.
Questa me la segno.
Fa niente se i good cercano di far fuori un ragazzino di quattordici anni, neh?

Ecco. Con questo terminerei.

Anzi, con altre notine (che magari ho già detto).
Non ho idea di chi sia Gaiman o Barker. E francamente non mi interessa poi molto.
Non ho mai letto la Troisi. Non credo che i suoi libri contengano la chiave di lettura per quelli di GL, quindi non la leggerò neanche ora.
GL, non trattar male Demonio, che non ha ancora comprato il tuo libro, a quanto mi risulta.

(PS: Un paio di scuse per aver tardato tanto le ho. 1. Non ho particolare voglia di scrivere al computer. Fosse stata una conversazione telefonica, mi sarei addirittura dilungata. 2. Una scusa si chiama “esame di ammissione di canto”. 3. Un’altra si chiama “dramma pazzesco per orrendo ripiego universitario dell’ultima ora”. 3. Poi c’è “yeeeh, inizio del conservatorio”. 4. “FRANCESEEEEEEEEEEEEEEEE”.
Sì, sono due paia di scuse.)

Leggere Wunderkind (parte 1)

Devo parlare ancora di Wunderkind. Però la prenderò alla larga, come se non volessi arrivare al punto (come fa GL sul suo blog, neh? XPP). Devo fare un paio di specificazioni, prima di toccare il libro.

Non ero proprio partita col piede giustissimo, con D’Andrea.
Io stavo (di solito) zitta e osservavo, cioè leggevo, i commenti che ogni tanto lasciava sul blog di Larù. “Uhm.”, pensavo. “Boh”.
Chiaramente siamo di due scuole diverse. Ma direi che tutti quelli che sono nati prima della caduta del muro sono di una scuola diversa dalla mia (No, dai, forse quelli dell’89 no.).
Altrettanto chiaramente siamo di due fazioni politiche diverse. Ed è un’osservazione abbastanza banale, visto che gente di destra conosciuta in internet la posso contare sulle dita di una mano. Probabilmente perché frequento ambienti ostili? Non so, sui siti di slash sembrano tutti di sinistra…
Comunque.

Ha un modo di porsi (mmmh, come chiamarlo? Assoluto? Aiuto, scrittori, trovate un aggettivo), D’Andrea, che vedo abbastanza spesso e che mi ricordava qualcosa (a parte il fatto che si interrompe sempre nel punto più bello).
Ho scoperto cos’era quando ho comprato il libro (copertina stupenda, sconto del 15 %, nello scaffale davanti a me in mezzo a libri che non c’entravano assolutamente niente con lui. Dev’essere stato tutto previsto, non potevo tirarmi indietro).
È nato nel ’79.

Allora, io frequento gente del ’79 da quando sono nata.
Peggio ancora, sono stata cresciuta da genitori di una del ’79. Doppio influsso. Stesse mani hanno legato i miei sostegni e annaffiato il mio vaso.
Quando mi è capitata, per un anno solo, l’insegnante del ’79, sono andata in crisi perché non riuscivo a darle del lei. Ero disperata, mi sembrava di parlare con una mia amica o con mia sorella, invece era un’insegnante.

C’è un rapporto di amore e odio, tra me e quelli del ’79.
Posso parlare direttamente a voi?
Perché mi trattate, giustamente, come se fossi una ragazzina tanto più piccola di voi (quello che sono), e mi mettete la mano sulla testa e mi ripetete quella frase odiosa (“potessi avere anch’io i problemi di una diciottenne!”).
Non vi rendete conto che io vi ho visti crescere. Ho partecipato attivamente alla vostra adolescenza. Le vostre crisi di diciottenni hanno segnato uno dei periodi più sensibili della mia infanzia.
Ho esperienza. E l’ho fatta attraverso di voi. Come un parassita, sì.

Riprendendo il discorso iniziale, D’Andrea mi sta un pochino antipatico per tutti i motivi degli altri del ’79. E come tutti quelli del ’79 non può che ispirarmi una grande simpatia fraterna (anzi, quasi materna).
Quel pizzico di arroganza da signori del mondo che vi colora il sorriso. E quel mare di dubbi e preoccupazioni che lo scurisce. Quel senso di uomini di mondo che vi fa sbattere la testa ovunque. E quel velo di tristezza che… non so, penso dipenda dalla musica che c’era quando eravate bambini. (Oddio, quando ero alle elementari andavano gli Aqua e la Pausini. Voi eravate alle superiori, chi di noi era più influenzabile? Lo ammetto, io molto XD.)

Le mischie sul blog di Larù!

Copio il commento che ho lasciato a Larù nell’articolo di oggi sul suo blog, perché mi è uscito tanto carino.

Come al solito Demonio mi toglie la maggior parte dei miagolii di bocca!

Larù, ti ringrazio tantissimo per la possibilità di fare mischia (FrrrFrrr! Mele si raccoglie un momento per assumere il suo migliore tono acido e polemico. Ha bisogno di qualcosa di verde, verde cattiveria, per l’ispirazione. Trovato! È un porta blister della cibalgina, ma può andare.).

Allora, andiamo con… beh, ordine.

Sì, il lettore ha il sacrosanto diritto di godere di un libro senza sforzo. Ma il lettore ha anche il sacrosanto diritto di godere, di un libro, anche della compiutezza artistica. (“Compiutezza” suona male… ma “perfezione” è un po’ forte, anche se vuol dire la stessa cosa)

Mi fa un po’ specie che si appiccichi uno stile a ciascun genere. E non so neanche che vuol dire “mainstream”, a momenti.
Ma che cavolata è? Stiamo facendo un tema? Dobbiamo scegliere se fare il saggio breve o l’articolo di giornale? Eh? Ma dai. Lo stile si applica alla persona, al momento, pure all’operazione intellettuale, se c’è, ma non certo al genere.
Insomma, ho capito che c’è il pubblico da soddisfare, e io sono la prima che desidera che il destinatario sia sempre tenuto presente durante un’operazione comunicativa qual è la scrittura (solito paragone colla musica, neh?). Ma non sarà mica il pubblico a decidere se un libro ha o non ha il diritto di possedere bellezza e arte!

Lasciamo da parte le mie enormi lacune e premettiamo, *solo* mentre ti espongo le mie teorie, quel che ti ripeto sempre: la bellezza è come minimo importante quanto la storia. (Adesso non ci mettiamo a disquisire su che cos’è la bellezza, eh!)

L’Ordine è una cosa difficilissima. Ordinare significa scriversi (su carta, mentalmente, pure istintivamente) un bel diagramma ad albero di quello che si vuole dire. Alt!
Cos’ha fatto la lettrice? Ha preso un pezzo di libro e l’ha riscritto in modo che *per lei* fosse più ordinato e “facile”. *Per lei*: per lo schema che lei applica a ciò che legge. Magari un altro lettore (più colto, o più allenato, o più sensibile, non è importante adesso) avrebbe trovato, e quindi goduto, lo schema utilizzato dalla scrittrice.

L’ordine, come il senso della bellezza, è estremamente personale, sia perché ognuno ha una… come chiamarla? Vista? Capacità di cogliere la struttura narrativa? Diversa, sia perché ognuno ha il suo schema preferito.

Alt! Prevedo un’obiezione: lo schema c’è sempre? Beh, sì. *Secondo me*. Come quando i matematici dicono che si può trovare una formula per tutto (dall’andamento demografico delle rane in uno stagno al miglior posto dove parcheggiare): anche nella poetica di uno scrittore c’è una formula particolare. Con un numero da mal di testa di varianti, certo.
D’altronde, la matematica è anch’essa un linguaggio.
L’ordine dev’esserci, altrimenti ogni storia andrebbe a rotoli come una patata che cade dalle scale.
To-pomf to-pomf to-pomf.
(Al che qualcuno può obbiettare che anche la patata arriva alla fine, e che anche la patata ha una formula che segue nel cadere. Aspetti un attimo che raccolgo la saliva per sputargli in bocca, perché quelli che fanno finta di non capire i paragoni mi fanno venire le ovaie quadrate.)

Altra obiezione: L’ordine è innaturale. Come mai dovrebbe venire diciamo “spontaneo” (come sembra che io sottintenda) essere ordinati?
Ehm. Perché cerchiamo sempre la via più vantaggiosa per arrivare ad un punto?
Ehm… perché siamo animali intelligenti? Più intelligenti di quanto normalmente ci consideriamo? (Alt! Vantaggiosa, non breve: se ho fretta scelgo la più veloce; se ho un’oretta e un paio di cinquanta euro scelgo quella con più negozi; se ho solo voglia di rifarmi gli occhi scelgo quella che mi porta a costeggiare la palestra quando esce la squadra maschile di pallavolo. Neh?)

Soprattutto quando bisogna gestire salti temporali e variazioni di pov, cioè complicarsi la vita, bisogna essere ordinatissimi, attentissimi, e non lasciarsi prendere dal panico.
(E insomma, Larù! Nelle tue storie ci sono incastri misurati al millimetro. Questa cosa che dico la sai e strasai.)
Ce ne sono sempre meno perché sono anticommerciali? Perché non si è più capaci di scriverli, o non si ha più la pazienza per farlo? Ah, boh. Io che ne so?

Riguardo al “falso semplice”. Allora, “falso semplice” non mi piace, perché mischia il livello dello scrittore e quello del lettore. Si intende un modo di scrivere che ricerca con buoni risultati la semplicità e la chiarezza, giusto? (No, perché… sai io come vado in palla sulle definizioni. Cos’era, quella volta? L’allegoria?)
Ecco. Per il lettore, è semplice punto e basta. Uno schema che il cervello assorbe subito e che soddisfa il piacere che la mente prova nei confronti di tutto ciò che è ordinato. Perché *non* si può dire che ciò che è semplice *non* sia ordinato.
Anzi, la semplicità è l’apoteosi dell’ordine. Pensa alla bellezza di un viso, di un viso ideale, non reale. La simmetria. Che è una cosa banalissima: un elemento e il suo speculare. Ordinato e di immediata comprensione (comprensione non nel senso che tu capisci perché ti piace una cosa, ma che subito assorbi – scusa se lo ripeto, mi sembra il verbo che più spiega ciò che intendo -, fai tua la bellezza di un qualcosa).
Semplice. “Semplice” è una delle parole più belle che esistano.
Lo dice una che della complicatezza ha fatto il suo marchio di fabbrica (e si è presa un sacco di pedate sulle dita per essa).
Per lo scrittore. Qui, un enorme, rumoroso BOOOOOOOOH! Chiedete a Larù, alla scrittrice, cosa è semplice per uno scrittore (ok, sei una *scrivente*, me l’hai già detto…). C’è chi si rompe la testa sulle grazie delle lettere e c’è chi caga oro. (Scusa il termine)
C’è chi ha bisogno delle dita per fare le addizioni, c’è chi ti trova i numeri primi a mente.
Nel primo caso, è un lavoraccio da puzzare come porci che si sono rotolati nella loro meLma per una vita. Nel secondo è il meraviglioso esempio della genialità di una mente estremamente complessa.

Ohé, come mai sto complicando così la questione? Ecco, hai a che fare con una persona terribilmente disordinata! Cosa ci scommetti che quello che ho blaterato fin’ora si può sintetizzare in metà parole?

Passiamo all’impoverimento culturale, dove mi genufletto ma non sono del tutto d’accordo con Demonio. Per pura vanità ovviamente, perché non sono né un mostro di grammatica (e certe volte mi accorgo di essere persino un pelo sotto la media della decenza), né una persona di grande cultura (Woolf? Ehm… se non avessi mai letto nulla della cara signora?). Però, parlando con Enorme Modestia, ho il senso della bellezza e so apprezzare la complicatezza tanto quanto la semplicità.
Anche se quando avevo quattordici anni mi piaceva accoppiare Secchan alle Mary Sue in terribilmente melense ficcyne. (Oddio, il “terribilmente melense mi è rimasto”. Uhm. Devo averlo insito nel nome.)

Riguardo Esbat. Occielo. “Falso semplice”. Mmh. Sì?
Sappiamo, o perlomeno io mi ricordo, il lavoro di bisturi (e anche scure, dai) che hai fatto.
Lo hai fatto per trovare la formula della patata che cade dalle scale.
C’è Hyoustuki che poverino cammina su bucce di banana, cera fresca e biglie.
C’è lo stomaco che a momenti ti casca nelle mutande (Ti ricordi quando ti ho scritto: “Mi hai ammazzato il convivente!”).
(Ma come al solito io sto facendo un pastrocchio di ricordi riguardanti Esbat e Sopdet.)
Non so se è “semplice”, oppure è il ritmo (il “to-pomf”) che ti tira per il naso fino alla fine.
Perché la casualità è estremamente complessa.
Oddio. Proprio non so se è “Falso semplice”. Però è bello, gustoso nel senso che ho scritto in cima.
Anche se l’exploit è Sopdet. Sopdet è un “Wow” stilistico pur colle pecche della “prima” stesura.

E sai che faccio? Copio incollo questo commento nel mio blog e ci faccio un post. Ecco.

(Mele zampetta via allegra perché queste battaglie – sì, contro mulini a vento, ma che importa – la sollazzano immensamente e ti ringrazia ancora)

Wunderkind, carne al sangue e velleità omicida.

Ho un’avversione particolare verso quegli autori che non finiscono i libri.
Come l’anno scorso, che sono arrivata al penultimo capitolo di Tunnel (Gordon Roderick, Williams Brian), ho capito che non sarebbe finito e me lo sono data sui denti e sulla fronte.
Mi verrebbe da legarli (gli autori) ad un argano e frustarli (-Perché?! Perché?!-). Poi, dopo avergli massaggiato le spalle, gli presterei il mio computer e, sotto la pericolosa minaccia che io rappresento, li costringerei a scrivere, punzecchiandoli colla forchetta della griglia.

Ecco, ora in pericolo c’è D’Andrea. Io lo sapevo che non ci dovevo cascare, ma quando entri in libreria e loro, piccoli, innocui, ti occhieggiano come cuccioli in un canile, con un invitante -15% appiccicato sulla copertina (15%? È uno sconto finto!), come si fa a dire di no? Lo sapevo. Ma l’ho comprato lo stesso. (Libri. Brutte bestie.)
Ovviamente, Wunderkind non finisce.
Non mi fossi tagliata le unghie, le strapperei.
Wunderkind è un macello. Letteralmente. Entri coi vestiti puliti, esci grondante di sangue. Sperando faccia bene alla pelle.
Ok, ho il gusto masochista di leggere cose che non mi fanno dormire la notte. Anche sei inizio a pensare che mi si sia inibito il senso del ribrezzo, perché continuo con queste robe che grondano sangue senza quasi accorgermene.

Però leggere W non è stato male.
La notte non dormo (ma è anche il caldo e che non trovo una posizione oltre a quella supina in cui non mi schiaccio il seno), ma ho come la sensazione che leggere di tutti quei corpi straziati mi abbia quasi… purificato.
Una catarsi rossa.
Insomma, avete presente quei pensieri cattivi (di prendere il coltello più grosso che c’è in cucina, quello che fa quel maledetto rumore quando spezza le ossa di coniglio, e usarlo contro qualcuno), quelli per cui ti vengono i sensi di colpa.
Ultimamente (da qualche anno a questa parte, ma diciamo che le cose stanno precipitando), è il vagheggiamento di rimanere orfana che mi solletica le narici. C’è la parte razionale che blandisce i nervi (- Sono umani, hanno i loro problemi e i loro limiti. Sono anziani. Ti hanno sempre mantenuto e non ti hanno mai fatto mancare nulla d’indispensabile. Sono malati, sono stressati.-), ma la stanchezza e la rabbia bollono sotto pelle. Non posso fare qualcosa ai miei amati genitori, ma non posso neanche avere una crisi a causa loro. Allora cerco la furia e cerco il sangue. Nei libri.
Probabilmente ieri W ha evitato che dessi un pugno a mio padre. (W e il fatto che sono andata a pranzare – bistecca al sangue, dai?- in camera mia. Chiedetemi come ho fatto a mangiare carne leggendo W. Beh, non era ancora il pezzo della carneficina. Cioè, della carneficina grossa. Eh, dai, avevo fame, avevo cucinato io, e la carne al sangue mi piace. Mancava giusto un po’ di sale.)

D’Andrea ha il vizio di lasciarti sospeso.
Non so quante gliene ho tirato dietro perché finiva il capitolo in un posto e quello dopo iniziava da un’altra parte. Non lo fa a caso, neh, però ti lascia le dita tra i denti.
Aaaah, questi trentenni.
Ora questo libro così carino finirà avvolto in un rosario in fondo alla libreria (se trovo un rosario).
Perché i libri sono brutte bestie, e questa bestia in particolare mi fa un po’ paura. All’inizio usavo il protocollo di un racconto come segnalibro, ma poi non mi sono fidata, eh… chissà come lo tiravo fuori se lo lasciavo tra le pagine della fine (che non è fine).
Non so neanche dove metterlo, in libreria, perché se lo infilo tra gli altri del suo genere finisce che faccio una “zona nera”, e sarebbe proprio dietro la mia testa mentre dormo (la cosa mi mette ansia). Ma non posso metterlo assieme a libri innocenti. Li troverei stravolti. Mh. È un problema.
Rimarrà confinato lì finché non esce il resto della trilogia.
Mannaggia alle trilogie.
(Lo so, sono comode: non devi scrivere libri pesanti come mattoni e soprattutto, visto che in questo mondo bisogna complicarsi la vita e non si può fare una cosa per volta, puoi spezzettare il lavoro mentre cerchi di sopravvivere. Ok. Ma io odio gli autori di libri che non finiscono!)

Mh. Dite che dovrei parlare del libro?
Beh, ma non ne sono capace.
Diciamo le ovvietà. Ha una fantasia macabra e profondissima. E descrive in una maniera colossale. Che vuol dire? Che ti trovi i particolari sparati nell’occhio, anche quando vorresti vedere nulla. E, insomma. Ci sono delle cose che davvero non dovresti vedere.
È un libro da maschi. Lo dice una cresciuta circondata da cugini. Insetti, sangue, gente più o meno morta… tipo le cose che mi raccontava mio cugino grande facendo le voci strane (cose che non sopportavo già a cinque anni, ma ascoltavo comunque perché avevo una cotta per lui).
Poi, boh. Confesso che Gaiman e Barker per me sono solo nomi, che il metal e Bacon sono molto lontani dalla mia estetica (sono troppo vecchia). Forse per questo il libro non mi ha preso nel profondo, ma di sicuro mi ha colpito di più.
Poi. Boh. I personaggi? (Non ho più voglia di scrivere.)
Beh, c’è il solito problema. Gli adulti trattano il ragazzino come se non sapesse allacciarsi le scarpe e alla fine succede il danno. Ma insomma. Si vede che ad una certa età non si è più capaci di parlare. Invecchierò anch’io così? Gli devono spiegare due robe e non lo fanno. Classico. Così il ragazzino, che è stato “lì, lì” per tutto il libro, alla fine si ritrova “più di là”. Grazie della fiducia. Fossi in lui diventerei cattivo per ripicca. Feh!
(Il solito problema degli adulti. Quindi dei libri dove ci sono gli adulti. Gli adulti dovrebbero essere banditi dai libri.)
Vabbeh.
Ecco. Non ci posso slashare. È proprio roba da maschio.
Però sono tutti belli, i personaggi. Oddio, non nel senso di signori Issimi, nel senso che sono fatti bene. Tutti tutti.

Forse la particolarità del libro (quello che ho sentito di più) è, come dire?
La reminiscenza.
La prima è stata della Storia infinita. Davvero. Per la cosa dei ricordi.
Poi ce ne sono un sacco che non ricordo e alcune che non ho saputo collegare. Eco senza origine. Cose vecchie. Cose che mi facevano paura da bambina.
Cose come incubi che ho dimenticato. Però li ha portati a galla.

Ecco, capite perché lo voglio chiudere in libreria.

MM: Metodo Mele per l’analisi delle FanFiction (o dei commenti)

(Si aggrappa al tavolo)
Mi accingo (pausa) ad una fatica tremenda. (Mano tremante)
Una bella analisi testuale!
E visto che il mio comandamento è: mai criticare (apertamente) le fan fiction d’altri, ne critico una mia. Olè!
Quindi toglietevi le scarpe, zittite i bambini (che sarebbe meglio lasciare a casa), perché vi apprestate ad entrare nel mio laboratorio.
Colla forza d’abisso (Harry Potter; Slash HarryxDraco; Rating R- più o meno.)
I link utili: la storia su EFP, dove potete leggerla coi commenti senza loggarvi;
I commenti su NA.
Storia della storia:
È nata agli inizi di giugno, durante una delle mie assidue visitine alla classe di canto del conservatorio. Causa di questo grande male (una volta si diceva “ispirazione”): le lezioni di canto e il fatto che io stessi preparando il saggio, quindi avessi martellante nelle orecchie la mia aria.
Quindi saltò fuori un miscuglio del genere: Recitativo e Aria Armida dispietata… Lascia ch’io pianga (Rinaldo, Haendel); Tra voi belle (Manon Lescaut, Puccini), Valzer di Musetta (La Boheme, Puccini), Il bacio (Arditi), Selva opaca (Guglielmo Tell, Rossini), Ogne pena cchiù spiatata (Lo frate’nnamorato, Pergolesi) (Che non ho sentito in conservatorio, né stavo cantando. Ma, cavolo, avrò pur il diritto di distrarmi un po’ anch’io?)
Perché è così importante specificare le fonti? Per le loro caratteristiche: sono <i>cantate</i> e sono <i>in versi</i>.
Quindi io nello scrivere qualcosa che si presumeva in prova, sono stata ispirata da poesia.
Qual è la differenza tra prosa e poesia? Oddio, troppo difficile. Diciamo che, sfrondando, una delle caratteristiche della poesia è non ridursi mai al contenuto, ma ricercare una forma e un linguaggio adeguati ad esso.
Come la maggior parte di voi non sa, perché non mi conosce, la mia “attività letteraria” (se così si può definire) inizia da poeta, non da prosatore (ecco perché nei temi ho sempre fatto abbastanza schifo). Il mio fine, da quando ho quattordici miseri anni, è riuscire a rendere la mia prosa poesia.
Cavolo, dico che Colla forza d’abisso non è il risultato, ma contiene la chiave per raggiungerlo. E qui potrei interrompermi.
Ma andiamo avanti.
La trama.
Intro: “Draco vorrebbe non esser più. Harry, che qui lo trattiene, donagli l’annullamento ch’egli vuole. Ma vorrebbe far vincere in lui il desiderio d’esistere. Insieme”
È stata modificata leggermente per questioni “ritmiche” appena dopo la pubblicazione del primo capitolo. A dopo le critiche su intro e titolo.
La storia è abbastanza banale: avete presente quei drammoni in cui uno dei protagonisti va in crisi esistenziale e si salva grazie all’Ammmoooreeh? Ecco. Qui in crisi è Draco, Potter è la fata turchina e si spreca l’autocommiserazione e il valium. L’intro dice tutto. Sul serio.
È una di quelle storie che mi fanno venire il latte alle ginocchia. Ma almeno è breve. O meglio, non è troppo lunga.
La struttura.
I capitoli sono numerati cronologicamente, ma la loro disposizione segue l’ordine in cui li ho immaginati:
1: Capitolo 3
2: Capitolo 1
3: Capitolo 4
4: Capitolo 2
Il quarto capitolo è nato a storia già iniziata. Anche se è cronologicamente il secondo, ha un po’ il sapore del missing moment o dell’epilogo.
La scelta della disposizione non è stata cosciente ma istintiva. Che poi ci sia un ordine logico, addirittura una circolarità in essa… beh, è capitato.
Cosa succede: nel primo si racconta del momento di massima tensione tra Harry e Draco; nel secondo l’incontro tra gli stessi, quando Harry decide di fare la corte a Draco; nel terzo il momento di crisi risolutiva; nel quarto la svolta nel rapporto tra loro. (È monotona: crisi, crisi, crisi e… tah dah! Crisi!)
Lo stile.
Dal capitolo primo (3):
I: “Doveva stare attento, attento. Harry sapeva essere insistente, e quella settimana avevano già litigato una volta.
<i>Harry si era passato le mani sul viso “Draco, perché non mi parli?” esasperato stanco – Draco aveva sentito la paura in gola aveva digrignato i denti – se Harry non avesse deciso di lasciar cadere il discorso forse forse…</i>
Le sue spalle tremarono, sentì il respiro bloccarsi in gola. Fu solo un momento. Sperò che Harry non gli chiedesse nulla.”
II, Occhio, è la scena della Lemon!:
“Anche se
(Harry gli strattonò i fianchi, Draco si spinse verso di lui, sentì il suo glande morbido e scivoloso scorrere sue e giù sopra i suoi nervi sovreccitati, sopra i suoi muscoli ormai impazienti)
Si sentiva imprigionato, soffocato
(strinse i denti, -Dai, dai…- lo pregò, incrociò le braccia sotto la fronte e cercò di intercettare i suoi movimenti, di infilarselo dentro mentre lui continuava a muoverlo cosi e a)
Quando Harry non c’era, o era arrabbiato e non voleva fare sesso, o gli proponeva di uscire, o gli diceva che forse un lavoro l’avrebbe distratto, o…, o…
(ridere. Poi Harry gli strinse forte i fianchi, lo immobilizzò. Si sistemò meglio tra i suoi polpacci, iniziò a spingere. Scivolò via ancora una volta)
Si sentiva soffocato da tutto e Harry sembrava una buona via di fuga, ma anche lui era una catena, perché lui avrebbe solo voluto andarsene via, via, via dal mondo, ma Harry erano ormai anni che lo teneva legato a–
(Harry si alzò un poco. Spinse di nuovo la sua punta contro i muscoli. Draco si aprì quanto poteva e questa volta lui iniziò ad entrare)
Legato a quel letto,
(Draco si rilassò man mano lo sentiva entrare, la sua voce vibrava roca e bassa nella sua bocca aperta.)
Legato a quello che più simile all’annullamento lui gli potesse dare.”
Dal capitolo secondo (1):
“Harry avrebbe voluto riposare la mente, ma ogni volta che tentava di creare buio grigio dietro gli occhi, immagini sconnesse di ricordi e fini preoccupazioni iniziavano ad attorcigliarsi e sciogliersi come voli di mosche.
Malfoy aveva cortissimi capelli sulla nuca piegava la testa sul suo compito (Utilizzo delle creature magiche nelle pratiche oscure, loro riabilitazione: esempi.) due banchi avanti uno a destra
Harry aveva finito abbastanza in fretta. Guardandolo, aveva ricordato che lui non avrebbe avuto voto di pratica di DADA, una distinzione voluta dal ministero per chi era stato dalla “parte sbagliata”. Più Harry ci pensava, più la trovava una stronzata.
Malfoy aveva cortissimi capelli sulla nuca appena più lunghi sulla testa onde chiare onde scure luce giocava colla lunghezza
Orecchi bella forma sembravano un po’ a sventola così scoperti pelle trasparente in controluce
Pelle quasi chiara come la camicia bianca collo cervicale poi la stoffa”
Dal capitolo terzo (4):
“Lui voleva solo fuggirla. Nessuno glielo permetteva.
Harry glielo aveva impedito l’unica volta che avrebbe davvero potuto farla finita. Harry (che ogni tanto sembrava rimproverargli di voler star male, che forse lo pensava) era libertà e catena che ormai non aveva più forza (la voglia) di spezzare.
Draco sentì che non riusciva più a reggere, come se ormai tutto fosse venuto a galla, come se ormai il suo malessere lo impantanasse, come se i suoi mostri ormai l’avessero raggiunto.
Harry, il corpo solido (su cui abbandonarsi), la spalla (su cui poggiare la fronte), il braccio (da cui farsi stringere). Erano lì.
E se ormai era tardi per scappare, lui che non voleva stare male, forse era il momento di provare se suo padre avesse ragione. Se Harry fosse forte abbastanza. Se Harry lo amasse abbastanza.”
Dal capitolo quarto (2):
“Harry gli era sempre sembrato sul punto di… (toccarmi stringermi baciarmi), per quanto cercasse di sottrarsi alle sue mani e per questo
Draco gli afferrò con forza, rabbia e odio il polso.
per questo aveva tentennato, per questo aveva fatto passare tutti quei mesi prima di decidere di farlo, perché
Harry lo strinse di più, gli graffiò la pelle coi denti, anche lui arrabbiato, anche lui titubante, spaventato.
perché non poteva negare che le sue premure lo distraessero (anche se ti odio è colpa tua è iniziato per colpa tua), che quasi gli togliessero ogni peso dalla mente (non dal cuore, era un inganno), soprattutto se per troppo tempo la loro pelle rimaneva a contatto.
Come se giocasse con lui, come se tenerlo in bilico fosse divertente. Senza motivo. Non c’era un perché se non lo voleva lasciare solo, non c’era un perché se lo voleva vivo.”
Espedienti:
Testo normale/ in corsivo/ tra parentesi: sono distinzioni sul piano del narratore, principalmente. La tranquilla terza persona, il pov, e… le parentesi? O sono incisi (incisi lunghi) o sono due frasi pronunciate assieme.  Et voilà.
Enjambement: della serie “combattiamo i puntini di sospensione!”, in realtà miei cari amici. Ha la stessa funzione che ha in poesia: rimarca una pausa o ne inserisce una. Fa un effetto singhiozzante, che a qualcuno non piace. Amen.
Pov  (dicasi stream of consciousness) senza punteggiatura: roba vecchia di cent’anni.
Paratassi e ipotassi, cioè metto punteggiatura quando mi capita. Ovviamente non è così. Non sono arrivata ancora al “verso” nella prosa, ma ovviamente il ritmo delle frasi è molto importante. Poi c’è l’eterna battaglia della virgola prima della “e”, ma quello è un altro discorso.
Qualcos’altro?
Ah, sì. Soggetto/Oggetto, cioè come uso un personaggio in un paragrafo. Per esempio nella scena della Lemon del primo capitolo. È una roba contortissima, lo ammetto, tra azioni di uno e pensieri/azioni dell’altro. Un casino che mette concitazione/ansia e fastidio. La prima voluta, il secondo dipende. Se poi lo unisco agli enjambement, che invece rallentano la lettura, la frittata è fatta!
Critiche/critichine/critichette:
Non citerò i nomi dei commentatori, perché non ho chiesto loro il permesso, però basta che andiate sul link di NA e potrete godervi i commenti.
Sull’intro
Mi si accusa di non averla scritta in italiano e di non averla riletta.
Dov’è il problema? Nel “donagli”, presumo, che non è un imperativo (Tu! Dona a lui!), ma un mite indicativo ( egli dona a lui). Così mi è uscito dalle dita, ma non è approdato tranquillamente in internet: è passato al vaglio della mia coscienza, dei precedenti letterari (in un articolo di Boito che leggevo per la tesina lui scriveva “ti scanna!”, che è imperativo (“scannati!”) e non indicativo come sembra), dell’approvazione di Rochan.
Sul titolo
Esatto, persino sul titolo. Prima critica: il “colla”, che la maggior parte della gente ha scambiato per la còlla, quella che si sniffa. Volevo dire, quella che si usa per incollare.
Poi ho fatto presente che era la citazione di un verso (“Armida dispietata! colla forza d’abisso,/ rapimmi al caro Ciel dei miei contenti…” toh, un “mi rapì” con complemento post posto.), come scrivevo all’inizio del primo capitolo.
Ah, mi sono dimenticata: queste due gentili persone non avevano letto la storia. La signorina del “ “colla”????? ”, poi lo ha fatto, le altre sue critiche sono più sotto.
Un’altra gentile lettrice, docente di lettere, come mi specifica, fa notare che essendo una citazione dovrei virgolettare. Scusate il tono cafone: Eeeeh?! Devo auto virgolettarmi il titolo?
Non ho mai visto una Song-fic con il titolo virgolettato. Scusate l’ignoranza, se sto sbagliando, ma ormai il titolo è roba mia, non è più una semplice citazione.
Torniamo alla “colla”. Mi dicono: va bene nel titolo, ma nel testo è meglio evitarlo, perché non è italiano. Ok. Sto bruciando la mia grammatica e il mio Zanichelli. Perché riportano cose non in italiano. Le pagine plastificate fanno delle fiammate stupende.
Poi, sempre sul “colla” e sul fatto che sia citato da un Recitativo, dovrei dividere l’ambito musicale e quello letterario, perché le fan fiction non si leggono ad alta voce.
Peccato. Le mie sono fatte per essere lette ad alta voce. (Piccola parentesi: succede solo a me di sentire in testa le parole che leggo tra me e me? Sarebbe la prova dell’esistenza del fantomatico “omino del cervello”…)
Oppure colla è un’inutile arcaismo. Occielo, e io che pensavo fosse colloquiale.
Allora, anche la mia professoressa di italiano mi segnava l’ondina sotto il “colla” nei temi, ma ditemi: le fan fiction sono temi? Io le considero testi letterari e mi concedo le mie licenze poetiche.
Una cosa che non è assolutamente piaciuta è stata la “frammentazione”: la lettura non è fluida, scorrevole, ci sono increspature e pause secche che danno fastidio. Mi si prescrive l’uso di una beta.
Qui stringo la mano e calo il sipario. Perché la frammentazione è il succo della storia, dalla struttura alla sintassi. Devo riscrivere tutto, quindi. Beeene.
(Si aggrappa al tavolo)
Mi accingo (pausa) ad una fatica tremenda. (Mano tremante)
Una bella analisi testuale!
E visto che il mio comandamento è: mai criticare (apertamente) le fan fiction d’altri, ne critico una mia. Olè!
Quindi toglietevi le scarpe, zittite i bambini (che sarebbe meglio lasciare a casa), perché vi apprestate ad entrare nel mio laboratorio.
Colla forza d’abisso (Harry Potter; Slash HarryxDraco; Rating R- più o meno.)
I link utili: la storia su EFP, dove potete leggerla coi commenti senza loggarvi;
I commenti su NA.
Storia della storia.
È nata agli inizi di giugno, durante una delle mie assidue visitine alla classe di canto del conservatorio. Causa di questo grande male (una volta si diceva “ispirazione”): le arie cantate durante le lezioni di canto e il fatto che io stessi preparando il saggio, quindi avessi martellante nelle orecchie la mia aria.
Quindi saltò fuori un miscuglio del genere: Recitativo e Aria Armida dispietata… Lascia ch’io pianga (Rinaldo, Haendel); Tra voi belle (Manon Lescaut, Puccini), Valzer di Musetta (La Boheme, Puccini), Il bacio (Arditi), Selva opaca (Guglielmo Tell, Rossini), Ogne pena cchiù spiatata (Lo frate’nnamorato, Pergolesi) (Che non ho sentito in conservatorio, né stavo cantando. Ma, cavolo, avrò pur il diritto di distrarmi un po’ anch’io?)
Perché è così importante specificare le fonti? Per le loro caratteristiche: sono cantate e sono in versi.
Quindi io nello scrivere qualcosa che si presumeva in prosa, sono stata ispirata da poesia.
Qual è la differenza tra prosa e poesia? Oddio, troppo difficile. Diciamo che, sfrondando, una delle caratteristiche della poesia è non ridursi mai al contenuto, ma ricercare una forma e un linguaggio adeguati ad esso.
Come la maggior parte di voi non sa, perché non mi conosce, la mia “attività letteraria” (se così si può definire) inizia da poeta, non da prosatore (ecco perché nei temi ho sempre fatto abbastanza schifo). Il mio fine, da quando ho quattordici miseri anni, è riuscire a rendere la mia prosa poesia.
Cavolo, dico che Colla forza d’abisso non è il risultato, ma contiene la chiave per raggiungerlo. E qui potrei interrompermi.
Ma andiamo avanti.
La trama.
Intro: “Draco vorrebbe non esser più. Harry, che qui lo trattiene, donagli l’annullamento ch’egli vuole. Ma vorrebbe far vincere in lui il desiderio d’esistere. Insieme”
È stata modificata leggermente per questioni “ritmiche” appena dopo la pubblicazione del primo capitolo. A dopo per le critiche su intro e titolo.
La storia è abbastanza banale: avete presente quei drammoni in cui uno dei protagonisti va in crisi esistenziale e si salva grazie all’Ammmoooreeh? Ecco. Qui in crisi è Draco, Potter è la fata turchina e si spreca l’autocommiserazione e il valium. L’intro dice tutto. Sul serio.
È una di quelle storie che mi fanno venire il latte alle ginocchia e le ovaie gonfie. Ma almeno è breve. O meglio, non è troppo lunga.
La struttura.
I capitoli sono numerati cronologicamente, ma la loro disposizione segue l’ordine in cui li ho immaginati:
1: Capitolo 3
2: Capitolo 1
3: Capitolo 4
4: Capitolo 2
Il quarto capitolo è nato a storia già iniziata. Anche se è cronologicamente il secondo, ha un po’ il sapore del missing moment o dell’epilogo.
La scelta della disposizione non è stata cosciente ma istintiva. Che poi ci sia un ordine logico, addirittura una circolarità in essa… beh, è capitato.
Cosa succede: nel primo si racconta del momento di massima tensione tra Harry e Draco; nel secondo l’incontro tra gli stessi, quando Harry decide di fare la corte a Draco; nel terzo il momento di crisi risolutiva; nel quarto la svolta nel rapporto tra loro. (È monotona: crisi, crisi, crisi e… tah dah! Crisi!)
Lo stile.
Dal capitolo primo (3):
I: “Doveva stare attento, attento. Harry sapeva essere insistente, e quella settimana avevano già litigato una volta.
Harry si era passato le mani sul viso “Draco, perché non mi parli?” esasperato stanco – Draco aveva sentito la paura in gola aveva digrignato i denti – se Harry non avesse deciso di lasciar cadere il discorso forse forse…
Le sue spalle tremarono, sentì il respiro bloccarsi in gola. Fu solo un momento. Sperò che Harry non gli chiedesse nulla.”
II, Occhio, è la scena della Lemon!:
“Anche se
(Harry gli strattonò i fianchi, Draco si spinse verso di lui, sentì il suo glande morbido e scivoloso scorrere sue e giù sopra i suoi nervi sovreccitati, sopra i suoi muscoli ormai impazienti)
Si sentiva imprigionato, soffocato
(strinse i denti, -Dai, dai…- lo pregò, incrociò le braccia sotto la fronte e cercò di intercettare i suoi movimenti, di infilarselo dentro mentre lui continuava a muoverlo cosi e a)
Quando Harry non c’era, o era arrabbiato e non voleva fare sesso, o gli proponeva di uscire, o gli diceva che forse un lavoro l’avrebbe distratto, o…, o…
(ridere. Poi Harry gli strinse forte i fianchi, lo immobilizzò. Si sistemò meglio tra i suoi polpacci, iniziò a spingere. Scivolò via ancora una volta)
Si sentiva soffocato da tutto e Harry sembrava una buona via di fuga, ma anche lui era una catena, perché lui avrebbe solo voluto andarsene via, via, via dal mondo, ma Harry erano ormai anni che lo teneva legato a–
(Harry si alzò un poco. Spinse di nuovo la sua punta contro i muscoli. Draco si aprì quanto poteva e questa volta lui iniziò ad entrare)
Legato a quel letto,
(Draco si rilassò man mano lo sentiva entrare, la sua voce vibrava roca e bassa nella sua bocca aperta.)
Legato a quello che più simile all’annullamento lui gli potesse dare.”
Dal capitolo secondo (1):
“Harry avrebbe voluto riposare la mente, ma ogni volta che tentava di creare buio grigio dietro gli occhi, immagini sconnesse di ricordi e fini preoccupazioni iniziavano ad attorcigliarsi e sciogliersi come voli di mosche.
Malfoy aveva cortissimi capelli sulla nuca piegava la testa sul suo compito (Utilizzo delle creature magiche nelle pratiche oscure, loro riabilitazione: esempi.) due banchi avanti uno a destra
Harry aveva finito abbastanza in fretta. Guardandolo, aveva ricordato che lui non avrebbe avuto voto di pratica di DADA, una distinzione voluta dal ministero per chi era stato dalla “parte sbagliata”. Più Harry ci pensava, più la trovava una stronzata.
Malfoy aveva cortissimi capelli sulla nuca appena più lunghi sulla testa onde chiare onde scure luce giocava colla lunghezza
Orecchi bella forma sembravano un po’ a sventola così scoperti pelle trasparente in controluce
Pelle quasi chiara come la camicia bianca collo cervicale poi la stoffa
Dal capitolo terzo (4):
“Lui voleva solo fuggirla. Nessuno glielo permetteva.
Harry glielo aveva impedito l’unica volta che avrebbe davvero potuto farla finita. Harry (che ogni tanto sembrava rimproverargli di voler star male, che forse lo pensava) era libertà e catena che ormai non aveva più forza (la voglia) di spezzare.
Draco sentì che non riusciva più a reggere, come se ormai tutto fosse venuto a galla, come se ormai il suo malessere lo impantanasse, come se i suoi mostri ormai l’avessero raggiunto.
Harry, il corpo solido (su cui abbandonarsi), la spalla (su cui poggiare la fronte), il braccio (da cui farsi stringere). Erano lì.
E se ormai era tardi per scappare, lui che non voleva stare male, forse era il momento di provare se suo padre avesse ragione. Se Harry fosse forte abbastanza. Se Harry lo amasse abbastanza.”
Dal capitolo quarto (2):
“Harry gli era sempre sembrato sul punto di… (toccarmi stringermi baciarmi), per quanto cercasse di sottrarsi alle sue mani e per questo
Draco gli afferrò con forza, rabbia e odio il polso.
per questo aveva tentennato, per questo aveva fatto passare tutti quei mesi prima di decidere di farlo, perché
Harry lo strinse di più, gli graffiò la pelle coi denti, anche lui arrabbiato, anche lui titubante, spaventato.
perché non poteva negare che le sue premure lo distraessero (anche se ti odio è colpa tua è iniziato per colpa tua), che quasi gli togliessero ogni peso dalla mente (non dal cuore, era un inganno), soprattutto se per troppo tempo la loro pelle rimaneva a contatto.
Come se giocasse con lui, come se tenerlo in bilico fosse divertente. Senza motivo. Non c’era un perché se non lo voleva lasciare solo, non c’era un perché se lo voleva vivo.”
Espedienti:
Testo normale/ in corsivo/ tra parentesi: sono distinzioni sul piano del narratore, principalmente. La tranquilla terza persona, il pov, e… le parentesi? O sono incisi (incisi lunghi) o sono due frasi pronunciate assieme.  Et voilà.
Enjambement: della serie “combattiamo i puntini di sospensione!”, in realtà miei cari amici. Ha la stessa funzione che ha in poesia: rimarca una pausa o ne inserisce una. Fa un effetto singhiozzante, che a qualcuno non piace. Amen.
Pov  (dicasi stream of consciousness) senza punteggiatura: roba vecchia di cent’anni.
Paratassi e ipotassi, cioè metto punteggiatura quando mi capita. Ovviamente non è così. Non sono arrivata ancora al “verso” nella prosa, ma ovviamente il ritmo delle frasi è molto importante. Poi c’è l’eterna battaglia della virgola prima della “e” (e del “ma”…), ma quello è un altro discorso.
Qualcos’altro?
Ah, sì. Soggetto/Oggetto, cioè come uso un personaggio in un paragrafo. Per esempio nella scena della Lemon del primo capitolo. È una roba contortissima, lo ammetto, tra azioni di uno e pensieri/azioni dell’altro. Un casino che mette concitazione/ansia e fastidio. La prima voluta, il secondo dipende. Se poi lo unisco agli enjambement, che invece rallentano la lettura, la frittata è fatta!
Critiche/critichine/critichette:
Non citerò i nomi dei commentatori, perché non ho chiesto loro il permesso, però basta che andiate sul link di NA e potrete godervi i commenti. Pubblici, visto che non c’è bisogno di login.
Sull’intro
Mi si accusa di non averla scritta in italiano e di non averla riletta.
Dov’è il problema? Nel “donagli”, presumo, che non è un imperativo (Tu! Dona a lui!), ma un mite indicativo ( egli dona a lui). Così mi è uscito dalle dita, ma non è approdato tranquillamente in internet: è passato al vaglio della mia coscienza, dei precedenti letterari (in un articolo di Boito che leggevo per la tesina lui scriveva “ti scanna!”, che è imperativo (“scannati!”) e non indicativo come sembra), dell’approvazione di Rochan.
Sul titolo
Esatto, persino sul titolo. Prima critica: il “colla”, che la maggior parte della gente ha scambiato per la còlla, quella che si sniffa. Volevo dire, quella che si usa per incollare.
Poi ho fatto presente che era la citazione di un verso (“Armida dispietata! colla forza d’abisso,/ rapimmi al caro Ciel dei miei contenti…” toh, un “mi rapì” con complemento post posto.), come scrivevo all’inizio del primo capitolo.
Ah, mi sono dimenticata: queste due gentili persone non avevano letto la storia. La signorina del “ “colla”????? ”, poi lo ha fatto, le altre sue critiche sono più sotto.
Un’altra gentile lettrice, docente di lettere, come mi specifica, fa notare che essendo una citazione dovrei virgolettare. Scusate il tono cafone: Eeeeh?! Devo virgolettarmi il titolo?
Non ho mai visto una Song-fic con il titolo virgolettato. Scusate l’ignoranza, se sto sbagliando: ormai il titolo è roba mia, non è più una semplice citazione.
Torniamo alla “colla”. Mi dicono: va bene nel titolo, ma nel testo è meglio evitarlo, perché non è italiano. Ok. Sto bruciando la mia grammatica e il mio Zanichelli. Perché riportano cose non in italiano. Le pagine plastificate fanno delle fiammate stupende.
Poi, sempre sul “colla” e sul fatto che sia citato da un Recitativo, dovrei dividere l’ambito musicale e quello letterario, perché le fan fiction non si leggono ad alta voce.
Peccato. Le mie sono fatte per essere lette ad alta voce. (Piccola parentesi: succede solo a me di sentire in testa le parole che leggo tra me e me? Sarebbe la prova dell’esistenza del fantomatico “omino del cervello”…)
Oppure colla è un’inutile arcaismo. Occielo, e io che pensavo fosse colloquiale.
Allora, anche la mia professoressa di italiano mi segnava l’ondina sotto il “colla” nei temi, ma ditemi: le fan fiction sono temi? Io le considero testi letterari e mi concedo le mie licenze poetiche.
Una cosa che non è assolutamente piaciuta è stata la “frammentazione”: la lettura non è fluida, scorrevole, ci sono increspature e pause secche che danno fastidio. Mi si prescrive l’uso di una beta.
Qui stringo la mano e calo il sipario. Perché la frammentazione è il succo della storia, dalla struttura alla sintassi. Devo riscrivere tutto, quindi. Beeene.